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Mercatone Uno – una triste storia italiana
Quella che vi raccontiamo è la storia di una grossa azienda italiana. Un’azienda nata sul finire degli anni 70. Siamo in Emilia Romagna e l’imprenditore locale Romano Cenni vede più lontano degli altri. Comprende la necessità di dare vita ad una catena di negozi no-food. Nasce Mercatone Uno. Negli anni l’azienda cresce. Arrivano le sponsorizzazioni sportive: arriva Marco Pantani. I punti vendita arrivano a più di novanta. Siamo alle soglie del nuovo millennio. E’ il 2008. Arriva la crisi. Il mondo si risveglia di colpo più povero. C’è bisogno di rinnovamento. L’era di Internet ormai ha cambiato le carte in tavola. Nel 2012 si ricorre al primo ammortizzatore sociale: i contratti di solidarietà. Sembra funzionare, a discapito del reddito dei dipendenti. Si rinnovano alcuni negozi. Si aprono nuove sedi come il punto vendita di Bari. Investimenti importanti che sembrano dare i loro frutti. Ma la sorpresa è dietro l’angolo. A gennaio 2015, viene richiesto il concordato preventivo. Si continua con i contratti di solidarietà, la cui esecuzione pone dei dubbi. Ad Aprile visto l’incancrenirsi degli accordi tra fornitori ed azienda si riesce, grazie alla legge Marzano, ad ottenere l’amministrazione straordinaria da parte dello Stato. Alla guida del Governo c’è il PD. Vengono nominati commissari Vincenzo Tassinari, Ermanno Sgravato e Stefano Coen. L’azienda viene messa in vendita tramite dei bandi. Nel frattempo si passa dai contratti di solidarietà alla cassa integrazione, ulteriore colpo alle famiglie dei dipendenti. Nel frattempo, a Dicembre 2017 nasce una nuova società: la Shernon Holding di Valdero Rigoni, Alessandro Bertoldo e Michael CharlesThalmann. Il capitale sociale è di solo un milione di Euro. Il 100% delle quote sociali è detenuto dalla finanziaria Star Alliance Limited con sede a Malta. Viene indetta dai commissari una vendita a trattativa privata. Siamo ad inizio 2018. Sembra che finalmente si riesca a vedere la luce in fondo al tunnel. Ma la verità è piuttosto triste. La Shernon acquisisce 55 punti vendita, chiede il ridimensionamento degli orari di lavoro. Si passa da lavoratori full-time a lavoratori part-time. Da più di 3000 dipendenti si passa a circa 1800. Tutti o quasi a 24 ore settimanali. Si passa ad uno stipendio che arriva a malapena a 800 Euro mensili. Vengono congelati gli scatti di anzianità e cancellati per due anni ore di permesso. I commissari accettano. A Marzo ci sono le nuove elezioni. Il governo PD sta per cedere il passo all’onda gialla del Movimento 5 Stelle e della rinnovata Lega di Matteo Salvini. Siamo a Maggio 2018. Il Ministro dello Sviluppo Economico, esponente del PD, Carlo Calenda prima di lasciare la sua poltrona firma gli atti di vendita. Ormai il gioco è fatto. Per due anni potete stare tranquilli, avete un lavoro assicurato. Questo ci dicono. Si firmano in estate i nuovi contratti di lavoro tramite email. Si riparte ma già qualcosa non quadra. Nessuna forma di pubblicità aggressiva. Gli scaffali si svuotano per una svendita totale e vengono svuotati. Si deve far posto alla nuova merce ed ai nuovi fornitori. Ma le consegne si vedono con il lumicino. I negozi assomigliano ai deserti africani. I clienti diminuiscono e i pochi che acquistano sono costretti a lasciare anche acconti del 100% sul totale acquistato. E’ la nuova procedura aziendale. Ma il colpo di scena è dietro l’angolo. il 10 Aprile 2019 anche Shernon Holding presenta richiesta di concordato preventivo. E’ una doccia fredda. Tutto viene bloccato. La notte del 24 maggio tramite un tam tam di voci sui social network e sui gruppi di chat dei vari punti vendita arriva la scure del tribunale fallimentare di Milano: FALLIMENTO. Nessuno ci crede ma arrivano conferme. Si mostra la foto del decreto del giudice. Che si fa l’indomani? Si va al lavoro nella speranza di avere risposte. Ma niente, la mattina del 25 Maggio i cancelli rimangono chiusi. I clienti si presentano con il loro contratto ma vi trovano solo un capannello di dipendenti disperati ed arrabbiati. Le domande che nascono sono innumerevoli. I commissari perché non hanno vigilato come da loro compito sull’attività dei nuovi proprietari? Perché i sindacati ed il ministero hanno firmato in tutta fretta un accordo capestro? Dove sono finiti i soldi che dovevano dar nuova linfa alle casse aziendali? Qualcuno dovrà provare a darle queste risposte, ma nel frattempo 1800 famiglie aspettano di sapere quale sarà il futuro da dare ai loro figli. Bambini e ragazzi a cui nessuno potrà far comprendere i motivi per i quali i loro cari sono tornati a casa con le lacrime raccorte in un fazzoletto. Ma un genitore una risposta la trova sempre per un figlio. Una risposta di speranza: Figli miei non è che pioggia su di me.
I DIPENDENTI MERCATONE UNO
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